Il gozzo sorrentino rappresenta uno dei migliori esempi della fine arte navale locale.
Fin dai tempi dell’ impero romano, la Penisola Sorrentina era nota nel mondo della marineria.
A partire dal XIII secolo, tuttavia, si sviluppò lungo le coste della Terra delle Sirene una vera e propria attività cantieristica artigianale.
Non potendo disporre di porti ampi ed adatti al ricovero di grosse imbarcazioni, gli artigiani sorrentini, abili “maestri d’ ascia”, si concentrarono sullo sviluppo di barche di dimensioni piccole.
Tra queste, ancora oggi, mantiene un posto di riguardo la produzione del gozzo, sebbene si tratta di qualcosa di molto prezioso e non accessibile a tutte le tasche.
Grazie ai segreti ed alle metodologie tramandate oralmente, infatti, i maestri sorrentini, hanno individuato la tecnica adatta per costruire imbarcazioni capaci di affrontare condizioni meteorologiche proibitive nonché in grado di soddisfare sia le esigenze di trasporto di persone o merci, quanto quelle della pesca.
Ai pescatori, infatti, spetta il merito di avere sfruttato ogni aspetto del gozzo sorrentino, utilizzandolo per pescare con la “menaide”, la “guastaurellara”, e la “sciavica” (vari tipi di reti utilizzate soprattutto per la cattura del pesce azzurro e dei gastaurelli o per la pesca di profondità) e con le nasse (adoperate per la pesca di polpi, calamari e seppie).
Dalle forme molto dolci, i gozzi sorrentini presentano prua e poppa a punta con la prima leggermente più alta della seconda per affrontare al meglio il moto ondoso.
La scelta dei legni adoperati per costruirli, così come le geometrie da rispettare, soprattutto in passato, erano rigorosissime.
Per lo “scheletro”, infatti, era adoperato legno di quercia o di olmo, mentre per fasciare lo scafo si preferiva il pino marittimo.
Per costruire i loro capolavori, gli antichi maestri d’ ascia seguivano quasi un preciso rituale.
Essi, infatti, non solo si recavano personalmente – esclusivamente nel periodo invernale – nei boschi per scegliere gli alberi più adatti ma evitavano accuratamente la fase di luna calante.
La stagionatura del legname nelle grotte di tufo (ben arieggiate e dunque ideali per la conservazione) era solo una delle fasi che preludevano la costruzione dei gozzi.
Quasi come a voler completare un rito – e, comunque, a testimonianza della grande devozione religiosa nutrita a livello locale – ogni imbarcazione non poteva considerarsi finita se prima non fosse stata dotata di un crocefisso da installare a poppa.
Questa preziosissima forma di artigianato, con il tempo e le nuove esigenze, corre il rischio di estinguersi a causa delle continue evoluzioni di mercato, l’ eccessiva quantità di lavoro richiesta per realizzare questo genere di imbarcazioni (con oneri economici evidentemente molto elevati).
I cantieri più tradizionali sono ormai rarissimi ma non mancano aziende che, grazie alla loro capacità di coniugare le antiche tradizioni con le più moderne tecnologie, hanno iniziato a produrre i gozzi sorrentini del terzo millennio che risultano essere particolarmente ambiti e ricercati.